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giovedì 16 novembre 2023

 

Finalmente è nata la mia nuova creatura.

“Non sono un eroe” è in tutte le librerie.

Si può acquistare anche online in tutte tre le versioni.

La versione Deluxe, direttamente sul sito della casa editrice,


https://pavedizioni.it/prodotto/non-sono-un-eroe-memorie-di-un-vigile-del-fuoco

al prezzo di copertina di 14,00 euro. Fino al 31 dicembre inserendo il codice promozionale “autori2023” si potrà usufruire dello sconto del 10%.

Su Amazon trovate anche la versione economica senza alette e con carta più leggera al costo di 12.00 euro, sempre  su Amazon,  è proposta la versione digitale al costo di 3,99 euro.

Sarà mia cura informarvi delle varie iniziative e presentazioni, in cui si potrà acquistare una copia di “Non sono un eroe” direttamente dal sottoscritto.

#pompiers #vigilidelfuoco #firefighters #libri #narrativa


martedì 31 marzo 2020

Tempo di quarantena


Ho comprato un sacchettino di fave. Sbucciarle? Può essere un normale passatempo, poi, in un momento come questo, figuriamoci! Sempre a casa senza mettere mai il naso fuori dalla porta!
Le fave, penso, simbolo di mistero tra storia e leggenda: nell'antica Grecia si credeva che dentro le fave si nascondessero le anime dei defunti, anche a causa del suo fiore bianco maculato di nero.
Pausania racconta che Demetra le avesse proibite anche ai sacerdoti di Eleusi, per una motivazione che, lo stesso Pausania, riferisce essere segreta. Secondo Aristofane, erano il cibo preferito da Eracle; mentre una leggenda su Pitagora narra dell’idiosincrasia del filosofo per le fave, si guardava bene dal mangiarle, evitandone anche il semplice contatto. Si racconta che, addirittura, in fuga dagli scherani di Cilone di Crotone, Pitagora, preferì farsi raggiungere e uccidere piuttosto che mettersi in salvo in un campo di fave.
Porfirio ci racconta che le fave potevano addirittura fare da veicolo per le anime dei morti, per permettere loro di prendere possesso di un essere umano.
Nell'epoca romana Plinio il Vecchio... i miei pensieri vengono interrotti dalla voce di mia moglie: «Bertoooo, c'è da sbucciare le fave!»
Ma figurati! Può essere anche un piacevole diversivo! Appena comincio, una strana idea mi passa per la mente e... “1, 2, 3”, inizio a contarle, ad ogni baccello che apro: “4, 5, 6”e poi un altro baccello “7, 8, 9”e così fino alla fine: 287 fave.
Ma cosa sto facendo! Forse stranezze della clausura forzata, tuttavia, questa improvvisa follia mi ha preso la mano, sembra incontrollabile e cominciando a togliere l'ilo da ogni fava: “1, 2, 3”, riprendo a contare “4, 5, 6”, fino alla fine: sono sempre 287! Le lavo, le sciacquo!
«Amore sono pronte!».Lei è andata a cucinarle, io al PC a controllare le mail. Non ci penso più!
È sera e ci mettiamo a tavola; fave e pecorino, dice la tradizione, e osservo il mio piatto: in mezzo in bella posta, le fave, in olio e cipolla abbondante, mentre il loro aroma, forte e piacevole, sale prepotentemente alle mie narici, mi appresto ad iniziare la cena. Nello stesso piatto alcune foglie di insalata fanno compagnia alle fave. Il pane accanto e un pezzo di pecorino in un piattino, mi aspettano invitanti.
Affondo il cucchiaio nel piatto e sollevandolo osservo le fave che avvicino golosamente alla bocca: “1, 2, 3”le mangio, altro cucchiaio “4, 5, 6”.
Nooo! Ho ripreso a contarle, l'impulso è irrefrenabile! Quando le ho finite, so di averne mangiato 97, mia moglie non le ha contate per cui non posso sapere quante ne sono rimaste, ma cosa sto facendo! Oddio sto dando i numeri!
Forse farei bene a parlarne con alcuni miei amici, che sono pure presenti sui social: una psicologa, un nutrizionista, e anche...una professoressa di matematica!
Effetti collaterali del Covid-19?










mercoledì 4 marzo 2020

Il Caro(gna)virus (Breve racconto in 560 parole)



Tutto ebbe inizio quando si decise di indire una conferenza mondiale sui cambiamenti climatici a Rocca delle Fonti, un delizioso paesino dell'entroterra siciliano. Le personalità scientifiche più famose al mondo, si diedero appuntamento per parlarne e proporre soluzioni più o meno drastiche, atte a risolvere i problemi climatici che, ogni giorno, si presentano sempre più gravi.
Si parlò dell'inquinamento provocato dai paesi più industrializzati, della pioggia che mancava da mesi in varie parti del mondo, rischiando ogni giorno di più una siccità a livello planetario, e poi ancora del disboscamento incontrollato in Amazzonia, riserva di ossigeno del mondo intero.

Purtroppo, per l'ennesima volta gli interessi economici ebbero il sopravvento sul resto e la conferenza finì, nell'ennesimo, misero fallimento. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che un problema di ben altre proporzioni e gravità, era pronto dietro l'angolo e stava per esplodere.
Ad appena due settimane dalla conferenza infatti, in alcune parti del mondo, cominciò a manifestarsi una forma influenzale sconosciuta e letale, non esclusa, la ridente località siciliana in cui si era svolta la conferenza sul clima.
Si accertò pure che in ogni zona in cui si stava espandendo il germe, che nel frattempo era stato battezzato Caro(gna)virus, viveva almeno uno dei partecipanti a vario titolo alla conferenza di Rocca delle Fonti.
Tutti i paesi coinvolti vennero subito isolati, creando delle vere e proprie zone rosse nelle province dove si stava espandendo il virus.
L'estrema originalità del nuovo virus era che il primo organo ad essere attaccato era il cervello e la persona colpita, dapprima cominciava a comportarsi come se affetto da demenza senile, e subito dopo veniva colto da crisi depressive, che lo portavano velocemente a tentativi di suicidio, rendendo così il contagiato difficilmente controllabile.
Nel frattempo equipe di scienziati tentavano di isolare il virus nel tentativo di porre un argine a quella che oramai minacciava di diventare una vera e propria pandemia.
Le protezioni individuali in commercio si erano presto esaurite e le varie industrie produttrici , pur lavorando alacremente in massacranti turni di 24 ore al giorno, non riuscivano a sopperire alle enormi richieste. Lo stesso si verificava negli approvvigionamenti di generi alimentari, accaparramento spesso ingiustificato. Nessuno pensava più al cambiamento climatico, ai disboscamenti incontrollati, alle siccità, all'inquinamento da CO2 .
La paura del contagio aveva oramai preso il sopravvento. La Sicilia venne isolata e circondata da navi da guerra a cui era stato dato ordine di sparare su chiunque avesse provato a lasciare l'isola, il mediterraneo era diventata una bolgia; da Tunisia, Algeria, Marocco, Grecia, Egitto, non appena provavano ad uscire con barche, gommoni e affini venivano subito mitragliati e affondati dalle guardie costiere, lo stesso avveniva nelle varie zone rosse di tutto il mondo. Oramai erano i vari eserciti a controllare che nessuno ne uscisse.
Dopo due mesi del primo contagio, avvenne un fatto che servì a sollevare un po' gli animi. In molte parti del mondo, dove soffrivano maggiormente la siccità, insperatamente, cominciò a piovere abbondantemente, facendoli respirare di sollievo! Almeno questo!

Nessuno sapeva, che tre mesi prima e in gran segreto, si erano riuniti i Capi di Stato delle più grandi potenze del pianeta, per discutere il grave problema del sovraffollamento della popolazione mondiale.
Unica soluzione possibile: DIMEZZARLA! e avevano deciso! 

Chi avrebbe mai immaginato che ogni gocciolina di quella pioggia tanto desiderata e finalmente arrivata, contenesse un germe di Caro(gna)virus!

sabato 21 settembre 2019

Il mio primo giorno di scuola.




     Avevo sei anni, quattro mesi e otto giorni, quando toccò anche a me andare a scuola. In verità la mia innata curiosità e voglia di conoscenza mi aveva portato già a quattro anni da autodidatta, ad imparare a leggere, scrivere e a far di conto. A  quei tempi se non eri ricco non andavi in asilo e la mia era una famiglia piuttosto modesta, di operai.
         Quel primo di ottobre del 1959, dopo una preparazione meticolosa che pretese la mia sveglia alle sei e mezza, mia madre mi prese per mano e mi accompagnò a scuola. La campanella alle otto e mezza in punto suonò. Entrammo, io ero letteralmente aggrappato alla mano di mia madre.
Lo confesso, ero un po' timido e non mi allontanavo mai troppo dalle gonne della mia mamma, anche a casa mia, per cui appena realizzai che mia madre stava per lasciarmi in classe per andar via, sembrò cadermi il mondo addosso e cominciai a disperarmi ed a piangere a dirotto:
- Roberto vedi tutti gli altri bambini? - disse mia madre - Funziona così ti devi convincere! - La mia risposta rimase negli annali della mia famiglia, per anni a casa ogni tanto, mi prendevano in giro ricordandomela. - Mamma io non posso convincermi! - La mia enorme disperazione, il mio piangere e dibattermi come un ossesso, costrinse alla resa mia madre che dovette riportarmi a casa, avevo vinto la battaglia, ma non certo la guerra; quella, l'avevo solo rimandato  di un giorno e me ne resi reso conto a mie spese a pranzo, quando mio padre tornò a casa dal lavoro.
Mia madre gli raccontò tutto, lui mi guardò, non certo con dolcezza,  mi mollò una sberla di quelle che ti fanno fare una non proprio elegante piroetta, e mi disse: - Domani ti accompagnerò io - con un tono che non prometteva nulla di buono e che  non ammetteva repliche.
         Quella notte la passai in bianco, ma avevo gli incubi anche da sveglio,  mi vedevo a scuola,  rapito e imprigionato,  gli insegnanti, i bidelli, si rivelavano tanti diavoli mascherati che mi picchiavano, mi torturavano e mi deridevano... e così venne l'alba!

Papà disse a mamma di prepararmi.  Camicia e pantaloncini corti, sopra un grembiulino nero un collettino bianco con un nastro azzurro che mi faceva sentire ridicolo: ero pronto per il grande sacrificio!
         La scuola era a meno di cento metri da casa; arrivammo subito. Entrammo che già mi tremavano le gambe: scale, tre piani a piedi.
No, mi dicevo: - coraggio,il mio papà non mi sta portando in prigione, è la scuola -  ma io sapevo già leggere e scrivere ed allora perché dovevo andare!
Questi pensieri affollavano la mia mente quando arrivammo in classe.
Il professore era già in aula e appena vide mio padre lo salutò calorosamente; era stato in passato l'insegnante di mio fratello più grande e quindi conosceva già mio padre, che dopo i saluti di rito disse: - Professore Schirò, le ho portato il mio figliolo più piccolo; è bravo e intelligente, da solo ha già imparato  a leggere ed a scrivere, ed è pure un bambino ubbidiente, ma, se dovesse fare qualche monelleria e se lo merita, dategliela pure qualche scappellotto, - poi guardò me e continuò - se tornando a casa, per caso, venissi a raccontarmi che il professore ti ha picchiato, ricordati che ti darò il resto! -
Terrorizzato e con la testa china, lasciai la mano di mio padre e andai a prendere posto in un banco, non mi restava che accettare la condanna...


mercoledì 12 giugno 2019

U ritu ra quagghia (Il rito della quaglia)


Prima di tutto bisogna sapere che cosa è a "Quagghia"
Da non confondere con la quaglia-uccello, la quagghia è una melanzana intera con dei tagli molto particolari che rende la melanzana a strisce pur mantenendola intera e viene fritta immergendola completamente nell'olio.
Prepararla in casa è un poco complicato in quanto ci vorrebbe una padella piuttosto alta e provocherebbe un consumo di olio notevole, per cui a quagghia conviene acquistarla pronta, nnò spinciaru cioè in friggitoria; per i profani, dai venditori di pane e panelle. Il risultato alla fine è questo in figura:

A quagghia va usata per condire un bel piatto di spaghetti con olio d'oliva e formaggio ncannistratu, (pecorino siciliano); una spruzzata di pepe nero non guasta.
E' un piatto chiaramente estivo e c'è una regola importantissima da non trascurare mai:
A quagghia va consumata bollente appena fritta; e qui arriva il rito palermitano che io consumai personalmente da bambino e tantissime volte.
Da premettere che la friggitoria era a a meno  di 100 metri da casa mia. Quando mia madre metteva la pentola sul fuoco io stazionavo nei pressi in trepida attesa che la pentola bollisse, e nell'attesa aiutavo ad apparecchiare. Quando arrivava il fatidico momento dell'ebollizione e mia madre impugnava gli spaghetti per buttarli in pentola partiva l'ordine, perentorio: 
Vai! Spicciati! Va pigghia i quagghi! (Vai a comprare le quaglie) Immediatamente mi precipitavo  per le scale (quattro piani senza ascensore), le quaranta lire in tasca, (una quaglia costava venti lire) e arrivato dallo "spinciaru" con voce, da bimbo si, ma decisa: "Mi rassi du quagghi ca a pasta è calata!" (mi dia due quaglie che la pasta è già in pentola),  in qualche minuto e senza aspettare il turno le quaglie erano pronte e avvolte in carta oleata, buttavo i soldi sul banco (lo scontrino ancora non era stato inventato) mi impadronivo del pacchetto, quindi ripartivo di corsa verso casa e dopo aver scalato i gradini a due a due, giungevo a casa nel preciso momento in cui mia madre era intenta a scolare la pasta, eravamo in quattro, quindi mio padre metteva mezza quaglia bollente per ogni piatto, mentre gli spaghetti venivano adagiati gentilmente sulla quaglia, quindi olio d'oliva, spolverata di ncannistratu e pepe e... pronti a tavola!
Anche per quel giorno il rito della Quagghia era stato rispettato!

Roberto Ardizzone

mercoledì 20 marzo 2019

Le mutande pulite


         Correva il 1969; quel pomeriggio la piccola Eva cominciò a prepararsi lo zaino, con una  meticolosità che non aveva mai usato da quando andava a scuola:
- Sussidiario, libro di lettura;
- matita, colori, temperino, gomme;
- quaderno a righe e quaderno a quadri;
- penne: nera, blu e rossa.
         Per la prima volta mamma l'aveva autorizzata ad andare a fare i compiti da Ester, la sua compagna di banco, nonché amichetta del cuore; per i suoi nove anni era una importante conquista, anche se in fin dei conti per andare a casa da Ester, avrebbe dovuto semplicemente uscire, attraversare la strada, ed entrare nella villetta di fronte.
         Ricontrollò lo zaino più volte per essere certa che non mancasse nulla, -  "ah si, ecco, il diario, stavo dimenticando proprio quello" ripeté mentalmente a se stessa. lo prese e lo infilò nello zaino, ecco ora era pronta!
- Mamma, posso andare? -
La risposta la lasciò di sasso:
- Hai messo le mutandine pulite? -

- Come? Le mutandine pulite? -
Eva era allibita, quasi sgomenta: pensò: Cosa c'entrano adesso le mutandine pulite.  
- Come hai detto mamma? Perché? -
La risposta fu ancora peggio:
- Come perché, t'immagini se capitasse di andare a finire al pronto soccorso o peggio in ospedale con le mutande sporche! Oh Dio che vergogna! -
La bambina rimase spiazzata, nella sua mente si affollavano mille domande. Aveva imparato da tempo a lavarsi da sola, ed era molto attenta nella pulizia, soprattutto in quella intima, non sarebbe mai andata in giro sporca, e poi perché mai sarebbe dovuta andare a finire al pronto soccorso?  Ma non volle andare oltre, corse in bagno e nonostante fosse pulita, terrorizzata dalla frase di mamma, fece un meticolosissimo bidet e cambiò le mutandine,  nonostante quelle che aveva, fossero pulitissime.
- Fatto mamma. Vado -  
         Uscì di corsa, attraversò la strada, bussò alla porta della sua amichetta che la aspettava, entrò e subito le raccontò tutto.
Ester non mostrò nessuna sorpresa, anzi, con fare un po' da esperta le disse:
- Certo! Mamma me lo ha insegnato sin da piccolina e io prima di uscire cambio sempre le mutandine!

La bambina a quel punto giunse ad una conclusione; sperando che non succeda mai, ma, se e quando, per un malaugurato motivo, andassi a finire al Pronto Soccorso o perché ti sei tagliato un dito o hai un forte mal di testa o per qualunque altro problema, per prima cosa ti controlleranno se hai le mutande pulite!

        

lunedì 21 gennaio 2019

Come Hemingway


1° giorno

         Sembra che tutti non abbiano altro pensiero che il cibo, sono in un bar, sul lungomare, seduto ad un tavolino, in terrazza; ho appena consumato la mia colazione ed ho davanti una tazza di caffè fumante. Scrivo i miei pensieri, le mie riflessioni sul mio taccuino sempre presente. No, non sono a Casablanca, ma ad Aspra, frazione marinara di Bagheria. Una calda mattinata di un qualunque giorno dell'estate siciliana, sono le nove del mattino ma l'aria è già rovente, un leggera brezza marina mitiga un po' il calore sulla pelle, ancora poca gente, per la maggior parte turisti ed emigranti che sono tornati per passare una vacanza nella loro terra natale. Nel tavolino accanto una bambina, non più di tre anni, come tanti bambini della sua età comincia ad essere padrona della tecnologia, sta utilizzando lo smartphone della mamma per vedere dei cartoon o qualche favoletta, mentre la mamma sta tranquillamente chiacchierando con un altra donna; davanti a loro, tazze di caffè vuote e tracce di una colazione già consumata.  Mi guardo in giro, la sensazione di vivere fuori dal mondo è forte. La fame, la disoccupazione galoppante, il problema migranti, sembrano rimasti fuori da questo ambiente, rilassato e vacanziero. A pochi metri la spiaggia; non è pienissima, è un giorno feriale qualunque, la gente prende il sole, si bagna e si diverte; in tutto questo anch'io mi sono lasciato prendere da questa sensazione di pace, di relax; forse una pausa dai problemi di ogni giorno non mi farebbe male, ma non riesco a perderli di vista, a cancellarli, neanche per un momento. Donne, bambini, famiglie intere che continuano a morire in mare; nell'inseguimento di un sogno non realizzato di un futuro migliore, o molto più semplicemente di un futuro! Vorrei tanto fare qualcosa per questi esseri umani meno fortunati che perdono la loro vita, alla vana ricerca di una vita dignitosa; cosa che nei loro paesi, per vari motivi non possono e non riescono a trovare, ed io, davanti alla superficialità, al menefreghismo, alla cultura della difesa del proprio giardinetto,  dell'egoismo di cui l'uomo ha imparato a nutrirsi, mi sento terribilmente impotente.


         Provo a rilassarmi, le due signore con la bambina sono andate via, al loro posto si sono seduti una famiglia festosa di emigrati bagheresi in vacanza, dai loro discorsi ho capito che vivono da moltissimi anni negli Stati Uniti, sembrano felici di questa parentesi nella loro terra natia; la loro gioia è visibile, palpabile. Abbiamo cominciato a chiacchierare  del più e del meno, mentre uno di loro ha cominciato a fare colazione con un uovo sodo; dice che stamane lo ha visto fare ad una gallina e lo ha raccolto ancora caldo, ed ha iniziato a raccontarmi che facendo un po' d'ordine e di pulizia in un suo vecchio cascinale nelle campagne di Bagheria da tempo abbandonato, ha ritrovato un suo vecchio amore di cui non ricordava più l'esistenza: un motociclo Motom 49cc; ha deciso di aggiustarlo prima di tornare in America e di portarlo con se per farne dono al suo nipotino più grande, colui che lo ha reso nonno.
         Mi piace questa spensieratezza che dimostrano, si vogliono divertire e ne hanno pieno diritto, sanno senz'altro il significato della parola "migrante" e sapranno pure cosa significhino i sacrifici che si fanno arrivando in una terra sconosciuta che non è la tua, terra in cui niente ti è familiare, neanche la lingua, ed in cui spesso l'accoglienza non è certo amichevole e devi, partendo dal nulla, ricrearti una nuova vita!

         Jack interrompe discorsi e pensieri, è il cane del bar, un bastardo tutto nero e tutto peli con due macchie bianche da cui spuntano due grandi occhi dall'espressione dolcissima, è la mascotte di tutti clienti soprattutto dei più affezionati che gli danno qualcosa da mangiare e lui in segno di ringraziamento gli si siede accanto tranquillo e silenzioso come fanno spesso i cani con i loro padroni. Jack è la gioia di tutti bambini, ci giocano e lo accarezzano, per la sua felicità.

         Una ragazza giovanissima e carina serve ai tavoli, si chiama Dalila, allegra e disponibile al dialogo, racconta di essere laureata da poco; sta lavorando sodo per racimolare un po' di soldi per poter andar via dalla Sicilia, dovunque si presenti la possibilità di realizzare il suo sogno, di esercitare il suo lavoro frutto di anni di studio e sacrificio; dai suoi occhi traspare caparbietà e motivazione. Penso: "Buona fortuna figliola!" E' la storia del sud che si ripete, è un continuum, come un pendolo nel suo moto perpetuo;  i nostri figli che se ne vanno in cerca di fortuna, se ne vanno da una terra avara, che sembra non voler dare niente in cambio a chi la cura, e non c'è nessuno, dico nessuno che provi a fare qualcosa per arginare questa continua emorragia umana.

         Gli italo-americani salutano e vanno via, i tavolini pian piano si svuotano, è un momento di calma, anche Jack si è alzato e si è allontanato,  guardo il mare, la brezza è diventata più forte, le sue onde sono diventate spumose, si sta agitando, un po' come i miei pensieri;  il mondo continua girare e con lui la ruota della vita, imperterrita, con i suoi problemi, i suoi piaceri e le sue pene, le sue gioie e i suoi dolori e con tante, troppe persone che non vedono o fanno finta di non vedere quella amara realtà in cui molti altri esseri umani hanno bisogno di aiuto.
Malinconicamente mi alzo e vado verso la casa vacanze...

Quinto giorno

         Oggi i gabbiani riempiono il cielo del lungomare. Con il soffio sostenuto del maestrale, i pesci seguendo il loro istinto si sono spostati al largo e rifugiati nei fondali al riparo dalle onde che tormentano la costa, allora i gabbiani cercano il loro sostentamento altrove; dai venditori di pesce, ai cestini non svuotati della spazzatura, l'uomo da questo punto di vista li ha pure corrotti. se ci si avvicina a loro bisogna pure essere cauti, perché davanti alla fame diventano anche molto aggressivi. I venditori di pesce per evitare problemi maggiori e tenerli lontano dai loro clienti e dalle proprie bancarelle, spostano le cassette con gli scarti prodotti con il pesce venduto e le posizionano vicino le loro barche nel porticciolo antistante. Appena individuato, i gabbiani accorrono a frotte! Mentre scrivo mi sono soffermato ad osservarli, sono un grande spettacolo della natura. Si alzano in volo, e approfittando del forte vento di maestrale che cozzando con le colline attorno Aspra, crea delle correnti ascensionali notevoli,  tengono le ali spiegate, quasi ferme, e mentre fanno un elegante surplace in aria, scrutano alla ricerca di dove possa esserci cibo per nutrirsi. La spiaggia è quasi deserta, il vento fresco, le onde alte non incoraggiano certo ad entrare in acqua, qualcuno ha scelto di attardarsi a letto oppure come me ha scelto di sedersi al tavolino di un bar a godere della frescura di oggi. Anche Jack , il cane mascotte del bar se l'è presa comoda, stamattina non è ancora venuto a prendersi la sua porzione di carezze e di cibo elargito tutti giorni dai clienti più affezionati, sarà in giro o nella sua cuccia ancora a dormicchiare.

Ottavo giorno

         Oggi potrebbe essere l'ultimo giorno di vacanza. Sono seduto al solito tavolino del solito bar sul lungomare. Cerco con il mio smartphone un volo disponibile per tornare a casa, non lo faccio volentieri; si, mi aspettano i miei nipotini, ma sto bene qui, mi sto affezionando a questo posto, con tutti i suoi difetti ed i suoi limiti, non è facile dare una spiegazione a questa emozione, non posso paragonare il posto a Taormina, Portofino, Rimini o Mondello, l'atmosfera è molto diversa, non è festaiola o pacificamente rumorosa, qua c'è molto relax e tranquillità, persino Jack è tranquillo e rilassato; negli ultimi giorni è venuto a sedersi sempre accanto a me, quasi mi avesse scelto come padroncino; Con Dalila è nata una buona amicizia ci siamo scambiati indirizzi social e mail, ci tiene ad essere lei a portarmi la colazione al tavolo e ad aiutarmi a scegliere le prelibatezze siciliane, ogni mattina una cosa diversa; mi mancherà anche lei con il suo sorriso e la sua freschezza.
         Come sempre stamattina sono stato uno dei primi ad arrivare, accanto al mio tavolino una coppia di donne si accarezzano la mano appoggiata sul tavolo, si scambiano tenerezze, chiacchierano guardandosi negli occhi, nessuno delle persone attorno sembra accorgersene o peggio guardarle con pregiudizio, per fortuna anche qui, al profondo sud le cose pian piano cambiano. Una signora con due bambini piccoli; uno di pochi mesi, lo tiene in braccio, l'altro  avrà tre anni o poco più, alla richiesta di cosa desiderasse per colazione, sorprende tutti con una richiesta: - Mi porti una insalata di mare! -  Scena incredibile, sorrisi gratis per tutti! Ma come tutte le belle cose, è finita presto!  Ho trovato il volo per stasera. Torno al B&B, vado a preparare le valigie...