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sabato 21 settembre 2019

Il mio primo giorno di scuola.




     Avevo sei anni, quattro mesi e otto giorni, quando toccò anche a me andare a scuola. In verità la mia innata curiosità e voglia di conoscenza mi aveva portato già a quattro anni da autodidatta, ad imparare a leggere, scrivere e a far di conto. A  quei tempi se non eri ricco non andavi in asilo e la mia era una famiglia piuttosto modesta, di operai.
         Quel primo di ottobre del 1959, dopo una preparazione meticolosa che pretese la mia sveglia alle sei e mezza, mia madre mi prese per mano e mi accompagnò a scuola. La campanella alle otto e mezza in punto suonò. Entrammo, io ero letteralmente aggrappato alla mano di mia madre.
Lo confesso, ero un po' timido e non mi allontanavo mai troppo dalle gonne della mia mamma, anche a casa mia, per cui appena realizzai che mia madre stava per lasciarmi in classe per andar via, sembrò cadermi il mondo addosso e cominciai a disperarmi ed a piangere a dirotto:
- Roberto vedi tutti gli altri bambini? - disse mia madre - Funziona così ti devi convincere! - La mia risposta rimase negli annali della mia famiglia, per anni a casa ogni tanto, mi prendevano in giro ricordandomela. - Mamma io non posso convincermi! - La mia enorme disperazione, il mio piangere e dibattermi come un ossesso, costrinse alla resa mia madre che dovette riportarmi a casa, avevo vinto la battaglia, ma non certo la guerra; quella, l'avevo solo rimandato  di un giorno e me ne resi reso conto a mie spese a pranzo, quando mio padre tornò a casa dal lavoro.
Mia madre gli raccontò tutto, lui mi guardò, non certo con dolcezza,  mi mollò una sberla di quelle che ti fanno fare una non proprio elegante piroetta, e mi disse: - Domani ti accompagnerò io - con un tono che non prometteva nulla di buono e che  non ammetteva repliche.
         Quella notte la passai in bianco, ma avevo gli incubi anche da sveglio,  mi vedevo a scuola,  rapito e imprigionato,  gli insegnanti, i bidelli, si rivelavano tanti diavoli mascherati che mi picchiavano, mi torturavano e mi deridevano... e così venne l'alba!

Papà disse a mamma di prepararmi.  Camicia e pantaloncini corti, sopra un grembiulino nero un collettino bianco con un nastro azzurro che mi faceva sentire ridicolo: ero pronto per il grande sacrificio!
         La scuola era a meno di cento metri da casa; arrivammo subito. Entrammo che già mi tremavano le gambe: scale, tre piani a piedi.
No, mi dicevo: - coraggio,il mio papà non mi sta portando in prigione, è la scuola -  ma io sapevo già leggere e scrivere ed allora perché dovevo andare!
Questi pensieri affollavano la mia mente quando arrivammo in classe.
Il professore era già in aula e appena vide mio padre lo salutò calorosamente; era stato in passato l'insegnante di mio fratello più grande e quindi conosceva già mio padre, che dopo i saluti di rito disse: - Professore Schirò, le ho portato il mio figliolo più piccolo; è bravo e intelligente, da solo ha già imparato  a leggere ed a scrivere, ed è pure un bambino ubbidiente, ma, se dovesse fare qualche monelleria e se lo merita, dategliela pure qualche scappellotto, - poi guardò me e continuò - se tornando a casa, per caso, venissi a raccontarmi che il professore ti ha picchiato, ricordati che ti darò il resto! -
Terrorizzato e con la testa china, lasciai la mano di mio padre e andai a prendere posto in un banco, non mi restava che accettare la condanna...