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venerdì 20 luglio 2018

L'indimenticabile incontro con Franco Franchi


    
Franco abitava vicino casa mia e il bar gestito dalla famiglia Benenato, era sulla stessa via dove c'era un piccolo laboratorio di stucchi, gestito da mio padre e mio fratello e  dove spesso lavoravo anch'io; Franco, talvolta si fermava a chiacchierare con mio padre; per me, che ero molto più giovane di lui, il rapporto si limitava ad un cordiale e rispettoso saluto: Buongiorno! Buonasera signor Franco, niente di più.
     Avevo compiuto vent'anni da poco, stavo prestando servizio militare, tornavo in caserma a Pisa dopo una breve licenza; il treno era appena partito  da Palermo ed ero in piedi, nel corridoio, assorto con i miei pensieri: la mia Palermo, la mia ragazza... quando lo notai nello scompartimento accanto:
- Buonasera signor Franchi, esclamai!
La sua risposta fu l'avvicinare del dito indice al naso nel segno di zittirmi e senza parlare  con un cenno della mano, mi invitò ad entrare nello scompartimento, tirò la tendina dei vetri, chiuse la porta dello scompartimento e mi fece sedere. Lui non viaggiava quasi mai in aereo, era una sua fobia; in quel periodo sfornavano a Cinecittà un film ogni quindici giorni, quell'anno, era il 1973 ne uscirono 5 o 6, e per lui era un continuo viaggio in treno: Palermo-Roma, Roma-Palermo. Aveva voglia di parlare, mi raccontò della gente che lo incontrava, che desiderava, voleva, talvolta pretendeva, che lui la facesse ridere, che recitasse una gag, che raccontasse una barzelletta; capiva benissimo che era parte del prezzo da pagare per il suo successo, ma quella sera non ne aveva proprio voglia, la mamma a cui era molto legato, stava male e si trovava in ospedale e con la madre in quelle condizioni, l'ultima cosa che avrebbe voluto fare era ridere e soprattutto fare ridere!
       
       Quella notte, io fui la spalla su cui aveva voglia di piangere e di cui aveva estremo bisogno; mentre io me ne stavo in religioso silenzio, mi parlò tanto della sua famiglia, dei bambini, del fratello con cui non andava molto d'accordo, e poi ancora della fame e delle privazioni che aveva subito prima di diventare quello che era.
        Praticamente rimasi tutta la notte ad ascoltare in silenzio i suoi crucci e i suoi pensieri di quel particolare momento, stavo conoscendo l'uomo che c'era in lui, dietro la figura del grande comico! 
        La mattina quando arrivammo a Roma, io continuavo per Pisa, mi salutò abbracciandomi forte, come un fratello minore, ringraziandomi per averlo ascoltato e si scusò per non avermi fatto dormire tutta la notte con i suoi sfoghi. 
     
    Sicuramente non si era reso conto di quanta umanità mi aveva trasmesso e soprattutto donato in quella notte!

Roberto Ardizzone