
Franco
abitava vicino casa mia e il bar gestito dalla famiglia Benenato, era sulla
stessa via dove c'era un piccolo laboratorio di stucchi, gestito da mio padre e
mio fratello e dove spesso lavoravo anch'io; Franco, talvolta si fermava
a chiacchierare con mio padre; per me, che ero molto più giovane di lui, il
rapporto si limitava ad un cordiale e rispettoso saluto: Buongiorno! Buonasera
signor Franco, niente di più.
Avevo compiuto vent'anni da poco, stavo
prestando servizio militare, tornavo in caserma a Pisa dopo una breve licenza; il treno era appena partito da Palermo ed ero in piedi, nel corridoio, assorto con i miei pensieri: la mia Palermo, la mia ragazza... quando lo notai
nello scompartimento accanto:
- Buonasera
signor Franchi, esclamai!
La sua
risposta fu l'avvicinare del dito indice al naso nel segno di zittirmi e senza
parlare con un cenno della mano, mi
invitò ad entrare nello scompartimento, tirò la tendina dei vetri, chiuse la
porta dello scompartimento e mi fece sedere. Lui non viaggiava quasi mai in
aereo, era una sua fobia; in quel periodo sfornavano a Cinecittà un film ogni
quindici giorni, quell'anno, era il 1973 ne uscirono 5 o 6, e per lui era un
continuo viaggio in treno: Palermo-Roma, Roma-Palermo. Aveva voglia di parlare,
mi raccontò della gente che lo incontrava, che desiderava, voleva, talvolta pretendeva,
che lui la facesse ridere, che recitasse una gag, che raccontasse una
barzelletta; capiva benissimo che era parte del prezzo da pagare per il suo
successo, ma quella sera non ne aveva proprio voglia, la mamma a cui era molto
legato, stava male e si trovava in ospedale e con la madre in quelle
condizioni, l'ultima cosa che avrebbe voluto fare era ridere e soprattutto fare
ridere!
Quella notte, io fui la spalla su cui
aveva voglia di piangere e di cui aveva estremo bisogno; mentre io me ne stavo
in religioso silenzio, mi parlò tanto della sua famiglia, dei bambini, del
fratello con cui non andava molto d'accordo, e poi ancora della fame e delle
privazioni che aveva subito prima di diventare quello che era.
Praticamente rimasi tutta la notte ad
ascoltare in silenzio i suoi crucci e i suoi pensieri di quel particolare
momento, stavo conoscendo l'uomo che c'era in lui, dietro la figura del grande
comico!
La mattina quando
arrivammo a Roma, io continuavo per Pisa, mi salutò abbracciandomi forte, come
un fratello minore, ringraziandomi per averlo ascoltato e si scusò per non
avermi fatto dormire tutta la notte con i suoi sfoghi.
Sicuramente non si era reso conto di quanta umanità mi aveva trasmesso e
soprattutto donato in quella notte!
Roberto
Ardizzone